… riflessioni e considerazioni sulla natura…

1 g

Realtà fisica e realtà sensoriale.

 

La natura, si direbbe, è un pane a tre strati con un sotto, un sopra e un dentro.

Il sotto è la realtà subatomica inosservata, regno della indeterminatezza e della probabilità dove la meccanica quantistica rende “coerente”, in una condizione di sovrapposizione di stati: materia, energia, tempo e spazio.

Il sopra è il cosmo inesplorato, regno delle onde gravitazionali ancora misteriose, annidate nella materia oscura.

Il dentro è la realtà osservata, posta ai “margini del caos” e al “margine dei quanti”, dove la “decoerenza” elimina la sovrapposizione quantistica, lasciando il posto a un unico stato rappresentato dal caos deterministico del mondo termodinamico e dal suo prodotto: l’auto-organizzazione.

Sono strati e stati che, pur essendo evidentemente specifici e caratterizzanti, tuttavia sono accomunati da un fatto: i loro componenti sono tutti in una condizione caratterizzata da relazioni che li configura come parti di un sistema.

Al punto da poter concludere dicendo che la realtà è comunque un “fascio di relazioni” configurata, per come si manifestano, in due modi:

– come realtà fisica del mondo subatomico, dove le relazioni creano una “correlazione”, cioè

uno stato quantisticamente “ordinato” dove tutti i componenti si comportano

all’unisono, condividendo una condizione di sovrapposizione di stati;

– come realtà sensoriale del mondo molecolare e sovramolecolare, dove le relazioni creano

una “ricorsività”, cioè un unico stato oggettivamente organizzato, dove tutti i componenti

si influenzano reciprocamente creando una condizione di impredicibilità.

Sono modi utili l’uno all’altro nel crogiuolo di una realtà unica che vede:

il mondo quantistico (ordinato) nella veste di “radice dell’esistente”,

il mondo micromolecolare (organizzato) nella duplice veste di prodotto e di tutore,

il mondo macromolecolare come garante del tutto grazie alla sua meccanica classica, fatta più di certezze che di incertezze.

Più precisamente sembra di poter dire quanto segue:

– il mondo macroscopico è il mondo totalmente collassato espresso in un unico stato, che però

dà umane certezze,

– il mondo microscopico è il mondo con un numero finito di stati, percosso dall’indeterminismo,

– il mondo subatomico è il mondo con un numero infinito di stati, regno della indeterminatezza e della probabilità.

Che è come dire che più si è piccoli, più si è ristretti in nicchie, più si è in compagnia di poche unità, più si è ricchi di possibilità, perché il corteggio di proprietà è inversamente proporzionale alla grandezza dei componenti, alla grandezza dei luoghi e al numero dei componenti, come del resto insegna una celebre equazione del fisico Louis de Broglie.

 

Rimane da fare una prima considerazione: se la realtà sensoriale è la realtà fisica collassata e a collassarla sono due situazioni – l’ambiente e l’osservatore – essa è oggettivamente sempre la stessa?

 

Sembrerebbe di poter dire di no, non è così. Nel senso che esisterebbe in due tipi:

la realtà sensoriale collassata dall’ambiente, uguale per tutti, e la realtà sensoriale collassata dall’osservatore, invece rappresentata da più tipi a seconda della natura degli osservatori, che infatti possono avere qualità individuali.

Una circostanza non da poco se si considera la professione medica e la possibilità più che concreta che i medici abbiano proprio qualità individuali.

E allora, le loro diagnosi come si possono considerare?

Sono oggettive e quindi omogenee oppure sono soggettive e quindi eterogenee?

 

La seconda considerazione è invece questa: se piccolo è bello e ricco di possibilità, perché è stato scelto il grande in forma di globalizzazione come bene assoluto della società? Errore o scelta interessata?

 

Prof. Renato Scandroglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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1 d/a

Declino e rinascita del pensiero sistemico

Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, dopo gli entusiasmi iniziali, il pensiero sistemico, pur esercitando un’influenza significativa sul mondo della cultura sociale e ingegneristica, paradossalmente declina nel mondo della biologia.

Perché qui trionfa la genetica con la descrizione della fine architettura del DNA, che porta alla convinzione che tutte le strutture e tutte le funzioni biologiche si possono spiegare in termini di meccanismi molecolari e di programmi.

Al punto che i biologi per la maggior parte ritornano a essere riduzionisti e meccanicisti ferventi, interessati esclusivamente allo studio analitico e ai dettagli molecolari; nel mentre la biologia molecolare, che in origine costituiva una piccola branca delle scienze naturali, diventa un pensiero tanto dilagante ed esclusivo da introdurre addirittura una seria distorsione della ricerca biologica, non fosse altro perché oscura del tutto la neonata visione sistemica del mondo fisico.

E del mondo della vita in particolare.

Tanto che negli anni Settanta, uno scienziato come Robert Lilienfeld nel suo “The rise of Systems Theory: an ideological analysis” del 1978,  può affermare, si direbbe spudoratamente: “Non è comparsa nessuna prova che la teoria dei sistemi sia stata usata per ottenere la soluzione di un qualsiasi problema concreto in un qualunque campo”.

Cogliendo nel segno in un solo punto: A. Bogdanov e L. von Bertalanffy, per la mancanza di tecniche di bio-matematica non lineare adeguate alla complessità dei sistemi viventi, non erano riusciti a sviluppare una disciplina logico matematica applicabile alle varie scienze empiriche.

Lilienfeld, per il resto, non capisce – come tanti altri biologi meccanicisti di risulta – che se gli approcci sistemici sviluppati nella prima metà del secolo non erano evidentemente sfociati in una teoria matematica formale, tuttavia essi avevano comunque creato un modo nuovo di pensare, un nuovo linguaggio, nuovi concetti e un clima intellettuale generale che più avanti, e siamo al presente, avrebbe condotto a programmi scientifici significativi e anche, se non proprio a una formale teoria dei sistemi, certamente a fortunati modelli sistemici.

Utili per descrivere in modo convincente vari aspetti dei fenomeni naturali e in particolare i fenomeni della vita che il meccanicismo e il determinismo newtoniano non risolvono per limiti intrinseci.

Perché se è vero che i biologi oggi conoscono l’alfabeto del codice genetico, è altrettanto vero che essi non hanno ancora quasi nessuna idea della sua sintassi… e per comprenderla dovranno sempre più approdare alla teoria sistemica.

Per non dire dell’interrogativo che la visione sistemica ha suscitato e suscita tuttora.

Infatti, considerato che i fenomeni naturali sono interconnessi, per spiegare ognuno di essi si devono comprendere tutti gli altri.

Ma questa è un’operazione chiaramente impossibile.

Per cui non resta che un convincimento: la scienza può solo essere approssimata.

È un convincimento in netto contrasto con quello basato sulla fede cartesiana nella certezza della conoscenza scientifica.

E lo si direbbe cruciale e della massima importanza per tutta la scienza moderna perché, di fatto, recita così: tutti i concetti e le teorie scientifiche sono limitate e approssimative, per cui la scienza non può mai fornire alcuna comprensione completa e definitiva e gli scienziati non possono mai occuparsi della verità nel senso della corrispondenza precisa tra la descrizione e il fenomeno scritto.

Superato lo shock iniziale dovuto a una verità indigesta, tutti gli studiosi lo hanno ormai accettato.

Peraltro Louis Pasteur l’aveva già capito quando si espresse in questo modo: “La scienza avanza attraverso risposte provvisorie a una serie di domande sempre più sottili, che scendono sempre più in profondità nell’essenza dei fenomeni naturali”.

Però allineandosi evidentemente al positivismo allora imperante, per il quale il progresso delle scienze empiriche avverrebbe per accumulazione.

Quando invece oggi si sa, seguendo il grande epistemologo Thomas Kuhn, che avviene per una successione di “paradigmi” rivoluzionari pressoché incomparabili.

Anche se “presumere che nel lungo periodo, grazie al progresso scientifico, sapremo sempre più verità su come il mondo sia in realtà… è una vana illusione”.

Come dire che la scienza sarà, appunto, sempre approssimata.

Un invito all’umiltà e alla prudenza.
Prof. Renato Scandroglio

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1 d

Il pensiero sistemico

 

Il pensiero sistemico è emerso simultaneamente in molte discipline nella prima metà del secolo scorso, in particolare in ambito biologico quando i biologi organicistici – rifacendosi alla fisica quantistica e alla psicologia della Gestalt – introdussero, seguiti poi da biochimici, filosofi, medici ed ecologisti, la concezione secondo la quale gli organismi viventi sono complessi integrati per i quali la forma, intesa come schema e qualità, è altrettanto importante della sostanza, intesa come struttura e quantità.

Il biologo Ross Harrison (1870-1959) segnala per primo il concetto di organizzazione spostando la visione dal “processo” – come prodotto meccanicistico della “sostanza” – alla “forma” – come prodotto immanente dello “schema” – e identificando nella configurazione e nella relazione due aspetti fondamentali della realtà.

Il biochimico Lawrence Henderson (1878-1942) introduce per tale visione il termine sistema (dal greco: porre insieme), che da allora ha assunto il significato di un “tutto integrato”, un intero le cui proprietà essenziali derivano dalle relazioni ricorsive fra le parti costituenti, proprio come emerge dalla meccanica quantistica, mentre il “pensiero sistemico” ha assunto il significato di “comprensione della necessità di stabilire la natura delle relazioni”.

Il biologo Joseph Woodger (1894-1981) riprende il concetto sistemico di “schema”, ormai delineato, affermando che si può dare una descrizione completa degli organismi nei termini degli elementi chimici che li compongono, “più” le relazioni organizzanti, ponendo così fine al dibattito fra meccanicisti e vitalisti.

Innescando però, seppure involontariamente, un dibattito sulla natura gerarchica dell’organizzazione degli organismi viventi.

A questo dibattito pone fine ben presto il filosofo C.D. Broad (1887-1971) con l’introduzione del concetto di proprietà emergente, intesa come la proprietà che emerge ai vari livelli di un sistema, configurando la presenza di una gerarchia che però non è verticistica,

come la si intende quando è riferita all’organizzazione sociale, ma distribuita, quindi di fatto equivalente, si direbbe oggi, a una condizione “fatta più per servire che per comandare”.

Il medico russo Aleksandr Bogdanov (1873-1928) nel contempo – seppur ignorato dalla scienza ufficiale occidentale e precedendo il Bertalanffy che giungerà alle stesse conclusioni venti anni dopo – formula una scienza universale dell’organizzazione distinguendo tre tipi di sistemi:

sistemi organizzati, dove tutto è maggiore della somma delle sue parti

sistemi disorganizzati, dove tutto è minore della somma delle sue parti

sistemi neutri, dove le attività di organizzazione e di disorganizzazione si annullano a vicenda.

Il filosofo Arne Næss (1912-2009) dal canto suo allarga il pensiero sistemico, estendendolo all’ambiente e utilizzando il termine ecologico (da ecologia, termine introdotto nel 1866 dal biologo tedesco Ernst Haecker per indicare la scienza delle relazioni fra organismo e mondo esterno circostante) anziché il termine olistico, ormai comunemente utilizzato per indicare un insieme di parti in relazione fra loro, quando fosse riferito ai viventi, per cui la cellula è una realtà “ecologica” e non semplicemente “olistica”.

Secondo il suo pensiero, olistico definisce un’entità completa e funzionante, espressiva di una interdipendenza delle parti costituenti, come può essere quella di una comune macchina, mentre ecologico aggiunge a quest’idea di completezza e di interdipendenza anche la percezione di come un’entità si colloca nel suo ambiente naturale, specificando per esempio: da dove provengono le materie prime che compongono la macchina, come è stata costruita, quanto la sua utilizzazione influisce sull’ambiente e sulla comunità che la utilizza.

Inoltre distingue l’ecologia in:

superficiale, antropocentrica, che considera gli esseri umani al di sopra o al di fuori della natura come fonte di tutti i valori, in linea con la tradizione meccanicistica

e in

profonda e vera che non separa gli esseri umani né ogni altra cosa dall’ambiente naturale e che considera gli uomini semplicemente come un filo particolare nella trama retiforme della vita.

Infine arricchisce le nascenti concezioni sistemiche con l’introduzione – accanto al concetto di comunità, inteso come insieme di parti integrate – dell’immagine di rete, intesa come l’espressione formale dell’integrazione delle parti.

Un’immagine che i sistemici sposano immediatamente, giungendo ben presto a considerare gli organismi viventi come “reti di cellule”, a loro volta considerate come “reti di reti”.

Un network dove ogni nodo rappresenta un organismo,

che è una rete con nodi che rappresentano un apparato,

che è una rete con nodi che rappresentano i tessuti,

che sono nodi che rappresentano le cellule,

che sono nodi che rappresentano gli apparati cellulari,

con nodi che rappresentano gli organi cellulari,

con nodi che rappresentano le macromolecole e così via, fino alla realtà quantistica dell’uomo.

Poiché in natura ci sono reti dentro altre reti.

È una visione che il biologo Ludwig von Bertalanffy (1901-1972) consacra nel 1950 dandogli una definitiva cornice con il suo articolo su Science: “The Theory of Open Systems in Physics and Biology”, nel quale si fa interprete e paladino di una “scienza generale della totalità” riguardante tutti i sistemi indipendentemente dalla loro natura.

Dettando i seguenti principi:

– i sistemi sono totalità integrante di parti in relazione ricorsiva le cui proprietà non possono

essere ricondotte a quelle delle singole parti

– il mondo è fatto di sistemi inseriti dentro altri sistemi, ciascuno dei quali ha una complessità

variabile, motivo per il quale a ciascun livello i fenomeni osservati mostrano proprietà

specifiche non confrontabili con quelle degli altri livelli

– la natura è una trama interconnessa di relazioni che non può essere compresa mediante lo

studio analitico delle singole parti, ma mediante la visione olistica delle parti inserite nel

loro contesto.

Sono principi che consacrano il pensiero sistemico come un pensiero contestuale. Cioè come un pensiero che, comprendendo anche l’ambiente è, di fatto, un “pensiero ecologico”.

Oggi peraltro coinvolto nella teoria della complessità, che cerca di capire come i milioni di parti di un sistema si organizzino in una rete di interazioni causali producendo non esiti certi, ma comportamenti complessivi ancora indecifrabili nella loro dinamica, al punto che i termini sistema, rete, complessità sono da considerarsi sinonimi.

 

Prof. Renato Scandroglio

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1 c

Il pensiero della fisica moderna

 

Tutti i più importanti elementi della concezione newtoniana del mondo: la nozione di spazio e di tempo assoluti, la nozione di particelle solide elementari, la natura strettamente causale dei fenomeni fisici e l’ideale di una descrizione oggettiva della natura, vengono totalmente infranti nei primi tre decenni del secolo scorso dalla teoria della relatività di Albert Einstein e dalla teoria della fisica atomica di Niels Bohr, Louis De Broglie, Erwing Schrödinger, Wolfgang Pauli, Werner Heisemberg e Paul Dirac.

Si parte dalla considerazione che la massa non è altro che una forma di energia e che il tempo è influenzato dalla presenza della materia e dalla velocità.

Al punto che esso può scorrere a ritmi diversi e che ogni posizione è caratterizzata da un suo tempo, per cui indicare la posizione di un evento, oltre ai tre numeri classici della geometria euclidea, è necessario dare un quarto numero che ci comunica in quale istante esso è avvenuto, secondo il suo orologio.

È lo spazio-tempo della realtà a quattro dimensioni che si può comprimere e storcere, come un immenso mollusco, mentre la realtà del mondo della fisica classica è basata proprio sulla nozione di tempo immutabile e di spazio inteso come una scatola inerte e tridimensionale, occupata da particelle solide.

Non c’è più lo spazio che “contiene” il mondo e non c’è più il tempo “lungo il quale” avvengono gli eventi.

Ci sono solo processi elementari, dove quanti di spazio e materia interagiscono tra loro in continuazione.

Perciò non ha più senso parlare di corpo solido, perché gli atomi invece di essere duri e indistruttibili, sono per lo più costituiti da regioni di spazio nelle quali sono presenti solo piccole particelle che si muovono a una velocità prossima a quella della luce, che simula una sfera rigida… che però non esiste, come il disco prodotto da un’elica in rapida rotazione.

Le particelle hanno inoltre un carattere duale, perché a seconda di come vengono osservate possono essere particelle oppure onde, e non si trovano con certezza in luoghi ben precisi, ma piuttosto mostrano solo una “tendenza” a trovarsi in un determinato luogo.

Come del resto sono gli eventi atomici, che infatti non avvengono con certezza in determinati istanti e in determinati modi, ma mostrano anch’essi solo una “tendenza” ad avvenire.

Tendenza espressa dal formalismo della meccanica quantistica come probabilità.

Peraltro non di cose, ma di interconnessioni, perché si tratta di eventi che esistono solo quando interagiscono con l’ambiente esterno.

La visione della realtà “fisica” è dunque questa: non esiste nessun mattone fondamentale isolato, ma parti in interazione, all’interno di una rete che include sempre anche l’osservatore come elemento essenziale.

Al punto che le proprietà di qualsiasi oggetto atomico possono essere capite solo nei termini dell’interazione con l’osservatore.

Perché di fatto ci sono interazioni, ma non ci sono oggetti.

C’è attività, ma non ci sono attori.

Non ci sono danzatori, c’è solo la danza” (F. Capra)

In uno spazio-tempo a quattro dimensioni.

L’ideale classico di una descrizione oggettiva della natura non è pertanto più valido. Salvo che nel campo dell’esperienza quotidiana, la cosiddetta “zona delle medie dimensioni”, dove la fisica classica continua a essere una teoria utile, poiché a questo livello delle dimensioni la realtà si esprime con regole che ancora si conciliano con il concetto di tempo immutabile, di spazio vuoto e di corpi materiali solidi, così profondamente radicati nel modo comune e automatico di pensare, cioè in ciò che oggi si direbbe il “pensiero eurismico”.

Infatti la presenza di “componenti grandi” in “luoghi grandi” (rispetto ai componenti e ai luoghi del mondo atomico) scioglie – con il “processo della decoerenza” – la sovrapposizione di stati che caratterizza il nanomondo e ristabilisce la condizione di un insieme di stati “unici”, ancorché fortemente probabilistici, perché pur sempre legati da interazioni ricorsive e causali, in un contesto non lineare.

Che in ogni caso i sensi riescono a individuare attribuendogli una forma.

Anche se recentissimi dati lascerebbero intendere che la divisione fra il mondo quantistico e il mondo classico newtoniano non è per nulla essenziale, trattandosi solo di una questione di ingegnosità sperimentale.

Di fatto la meccanica quantistica e la sua espressione più misteriosa, l’entanglement, sembrerebbero essere valide a tutte le dimensioni.

 

Prof. Renato Scandroglio

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1 b

Il pensiero della filosofia classica

La struttura portante della fisica classica che fa capo a Galileo Galilei, a Sir Francis Bacon, a René Descartes e a Sir Isaac Newton, ha come scenario lo spazio tridimensionale della geometria euclidea: uno spazio assoluto sempre immobile e immutabile, come un’immensa scatola nella quale si muovono piccole, solide e indistruttibili particelle materiali.

Secondo un modello simile a quello degli atomisti greci, in più con la descrizione della forza (gravità) che agisce tra le particelle in reciproca attrazione.

Galileo Galilei (1564-1642) per primo combina la sperimentazione scientifica con l’uso del linguaggio matematico, dando l’avvio – come sostiene lo psichiatra R.D. Laing – all’ossessione degli scienziati per le misurazioni e la quantificazione.

Infatti postula che, per descrivere i fenomeni naturali in modo efficace, gli scienziati devono limitarsi a studiare le proprietà dei corpi materiali – forma, numero e movimento – che possono essere misurate e quantificate.

Le altre proprietà come il colore, il gusto, il sapore o l’odore, sono delle mere proiezioni mentali che devono essere escluse dall’ambito della scienza.

Sir Francis Bacon (1561-1626) formula in modo esplicito il metodo empirico della scienza, con la teoria chiara del metodo induttivo.

Inoltre con il convincimento che la conoscenza scientifica debba essere usata per controllare e dominare la natura, quando invece fino ad allora veniva perseguita “per la gloria di Dio” o come si esprimevano i cinesi “per seguire l’ordine naturale” nella corrente del Tao (la buona strada).

René Descartes (1596-1650) sostiene la certezza della conoscenza scientifica e introduce un metodo analitico di ragionamento, che consiste nello scomporre cose; pensieri e problemi in frammenti e nel disporre questi ultimi nel loro ordine logico, ma in due ambiti: quello dello spirito o “res cogitans” (sostanza pensante) e quello della materia o “res extensa”.

Lasciando intendere che esiste un io isolato all’interno del corpo dell’uomo, per cui nella materia non c’è intenzione, vita o spiritualità, ma semplicemente leggi meccaniche che fanno della natura una macchina perfetta governata da leggi matematiche esatte, con l’osservatore che non ha parte in causa.

Sir Isaac Newton (1642-1727) raccoglie questa visione analitico-meccanicistica (Principia, 1687), la coniuga con la visione induttiva empirica di Francis Bacon e formula le leggi della meccanica, nella quale tutti i fenomeni si riducono al moto di particelle materiali che si muovono a causa della loro attrazione reciproca.

Moto da studiare con un metodo nuovo, il calcolo differenziale, capace di descrivere il movimento, sapendo che Dio ha creato tali particelle, le forze che agiscono tra di esse e le leggi fondamentali del loro moto, all’interno di un universo che per ciò funziona come una macchina completamente causale e determinata, governata da leggi immutabili.

Al punto che, in linea di principio, si può prevedere con assoluta certezza il futuro di una parte qualsiasi della natura purché si conosca in un ogni istante il suo stato, in tutti i particolari.

Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) con il suo “Traité de mécanique céleste” consacra le leggi della meccanica newtoniana come leggi fondamentali della natura e la meccanica di Newton come la teoria definitiva dei fenomeni naturali, che rimane indiscussa fino alla fine dell’Ottocento, quando emergono ricerche di Faraday e Maxwell.

Michael Faraday (1791-1867) e James Clerk Maxwell (1831-1879) infatti, invece di interpretare l’interazione fra una carica positiva e una negativa come un’attrazione identica a quella che avviene fra due masse, trovano più appropriato sostenere che ogni carica crea nello spazio circostante una perturbazione o meglio, una condizione definita campo, tale per cui un’altra carica, se presente, avverte una forza.

Portando così un mutamento profondissimo nella concezione della realtà fisica, perché mentre nella visione newtoniana il concetto di forza è rigidamente connesso ai corpi sui quali le forze agiscono, ora il concetto di forza è spostato su quello di campo estraneo ai corpi materiali.

Come sarà confermato cinquant’anni dopo da Albert Einstein, che non solo affermerà che i campi elettromagnetici sono vere e proprie entità fisiche che possono spostarsi attraverso lo spazio, ma sottolineerà anche che tali entità non possono essere spiegate meccanicamente.

A questo punto, all’inizio del Novecento, i fisici avevano a disposizione due teorie entrambe valide e capaci di spiegare fenomeni differenti: la meccanica di Newton e l’elettrodinamica di Maxwell.

Di conseguenza il modello newtoniano non costituiva più la base di tutta la fisica né tantomeno il paradigma incontrovertibile.

 

Prof. Renato Scandroglio

 

 

 

 

Seguiranno: Il pensiero della fisica moderna, il pensiero sistemico, il pensiero deterministico

 

Riflessioni e considerazioni sulla “natura”

1

La natura

… è ancora una realtà molto misteriosa

 

Sulla consistenza della “natura”, intesa come “l’insieme di tutto ciò che attraverso l’osservazione e l’esperimento può diventare oggetto di scienza” (E. Kant), è in corso una vivace discussione sia scientifica che epistemologica, nella quale si confrontano varie correnti di pensiero, che si rifanno di volta in volta al misticismo orientale, alla fisica classica, alla fisica atomica di stampo relativistico, al pensiero sistemico, alla teoria del caos deterministico e al comune sentire.

E tutto ciò perché nel Novecento l’esplorazione del mondo atomico e di quello subatomico ha rivelato un inaspettato limite delle concezioni e ha reso necessario un ripensamento radicale di molti concetti fondamentali.

Per esempio, il concetto di materia è ora completamente diverso dall’idea di sostanza materiale della fisica classica.

La stessa cosa vale per i concetti quali il tempo e lo spazio, causa ed effetto.

Per non dire della visione sistemica e della teoria della complessità che oggi stanno minando alla base il concetto, fin qui sostenuto, di organismo come somma lineare di parti da studiare in modo analitico, poiché sostituiscono al concetto di macchina il concetto di rete, al concetto di evoluzione il concetto di co-evoluzione, al concetto di lotta il concetto di interazione.

Aprendo, forse inaspettatamente, a una visione del mondo che è molto simile a quella dei mistici di tutti i tempi e di tutte le tradizioni, in particolare a quella dei filosofi greci che si rifanno alla scuola di Mileto e a quella dei pensatori orientali che si rifanno all’Induismo, al Buddhismo e al Taoismo.

 

1a

Il pensiero mistico

 

I mistici orientali ritengono che tutti gli oggetti e tutti gli eventi percepiti dai sensi siano interconnessi e collegati fra di loro essendo, di fatto, solo differenti manifestazioni della realtà ultima, unica ed essenziale delle cose. Contrapponendosi in modo radicale alla visione del mondo occidentale che essi definiscono addirittura “ignoranza”, una sorta di turbamento mentale che deve essere superato poichè propende a dividere l’intero in parti singole e distinte, a discriminare, a confrontare, ad analizzare, a classificare e a quantificare, fino a considerare l’uomo stesso un’unità separata.

Infatti essi dicono: ”Quando la mente è turbata si produce il molteplice, ma il molteplice scompare quando la mente si acquieta”.

Proprio come direbbe un fisico del XXI secolo che sempre più considera il mondo – diversamente da quanto ha sostenuto e sostiene il pensiero della fisica classica – come un insieme di componenti inseparabili, interagenti e in moto continuo, con l’uomo “osservatore” quale parte integrante di questa realtà.

 

Prof. Renato Scandroglio

 

 

seguirà: Il pensiero della fisica classica 

 

La realtà è un’illusione

In fisica, il simbolo dell’infinito rappresenta una barriera sulla quale la mente

umana inevitabilmente si infrange, smarrita nell’oblio delle dimensioni volubili.

E anche la realtà sensibile, quella che Aristotele, con felice intuizione, definiva

“ la realtà diveniente” è di fatto una realtà prodotta dai nostri sensi, se è vero

come è vero che, per esempio il cielo blu non è, ma è nero, come la pece, e

che le stelle che vi brillano di fatto sono immobili e forse neanche più esistono.

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