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Il pensiero della fisica moderna
Tutti i più importanti elementi della concezione newtoniana del mondo: la nozione di spazio e di tempo assoluti, la nozione di particelle solide elementari, la natura strettamente causale dei fenomeni fisici e l’ideale di una descrizione oggettiva della natura, vengono totalmente infranti nei primi tre decenni del secolo scorso dalla teoria della relatività di Albert Einstein e dalla teoria della fisica atomica di Niels Bohr, Louis De Broglie, Erwing Schrödinger, Wolfgang Pauli, Werner Heisemberg e Paul Dirac.
Si parte dalla considerazione che la massa non è altro che una forma di energia e che il tempo è influenzato dalla presenza della materia e dalla velocità.
Al punto che esso può scorrere a ritmi diversi e che ogni posizione è caratterizzata da un suo tempo, per cui indicare la posizione di un evento, oltre ai tre numeri classici della geometria euclidea, è necessario dare un quarto numero che ci comunica in quale istante esso è avvenuto, secondo il suo orologio.
È lo spazio-tempo della realtà a quattro dimensioni che si può comprimere e storcere, come un immenso mollusco, mentre la realtà del mondo della fisica classica è basata proprio sulla nozione di tempo immutabile e di spazio inteso come una scatola inerte e tridimensionale, occupata da particelle solide.
Non c’è più lo spazio che “contiene” il mondo e non c’è più il tempo “lungo il quale” avvengono gli eventi.
Ci sono solo processi elementari, dove quanti di spazio e materia interagiscono tra loro in continuazione.
Perciò non ha più senso parlare di corpo solido, perché gli atomi invece di essere duri e indistruttibili, sono per lo più costituiti da regioni di spazio nelle quali sono presenti solo piccole particelle che si muovono a una velocità prossima a quella della luce, che simula una sfera rigida… che però non esiste, come il disco prodotto da un’elica in rapida rotazione.
Le particelle hanno inoltre un carattere duale, perché a seconda di come vengono osservate possono essere particelle oppure onde, e non si trovano con certezza in luoghi ben precisi, ma piuttosto mostrano solo una “tendenza” a trovarsi in un determinato luogo.
Come del resto sono gli eventi atomici, che infatti non avvengono con certezza in determinati istanti e in determinati modi, ma mostrano anch’essi solo una “tendenza” ad avvenire.
Tendenza espressa dal formalismo della meccanica quantistica come probabilità.
Peraltro non di cose, ma di interconnessioni, perché si tratta di eventi che esistono solo quando interagiscono con l’ambiente esterno.
La visione della realtà “fisica” è dunque questa: non esiste nessun mattone fondamentale isolato, ma parti in interazione, all’interno di una rete che include sempre anche l’osservatore come elemento essenziale.
Al punto che le proprietà di qualsiasi oggetto atomico possono essere capite solo nei termini dell’interazione con l’osservatore.
Perché di fatto ci sono interazioni, ma non ci sono oggetti.
C’è attività, ma non ci sono attori.
“Non ci sono danzatori, c’è solo la danza” (F. Capra)
In uno spazio-tempo a quattro dimensioni.
L’ideale classico di una descrizione oggettiva della natura non è pertanto più valido. Salvo che nel campo dell’esperienza quotidiana, la cosiddetta “zona delle medie dimensioni”, dove la fisica classica continua a essere una teoria utile, poiché a questo livello delle dimensioni la realtà si esprime con regole che ancora si conciliano con il concetto di tempo immutabile, di spazio vuoto e di corpi materiali solidi, così profondamente radicati nel modo comune e automatico di pensare, cioè in ciò che oggi si direbbe il “pensiero eurismico”.
Infatti la presenza di “componenti grandi” in “luoghi grandi” (rispetto ai componenti e ai luoghi del mondo atomico) scioglie – con il “processo della decoerenza” – la sovrapposizione di stati che caratterizza il nanomondo e ristabilisce la condizione di un insieme di stati “unici”, ancorché fortemente probabilistici, perché pur sempre legati da interazioni ricorsive e causali, in un contesto non lineare.
Che in ogni caso i sensi riescono a individuare attribuendogli una forma.
Anche se recentissimi dati lascerebbero intendere che la divisione fra il mondo quantistico e il mondo classico newtoniano non è per nulla essenziale, trattandosi solo di una questione di ingegnosità sperimentale.
Di fatto la meccanica quantistica e la sua espressione più misteriosa, l’entanglement, sembrerebbero essere valide a tutte le dimensioni.
Prof. Renato Scandroglio